Da Berlino a Gerusalemme

Gershom Scholem, Da Berlino a Gerusalemme. Ricordi giovanili, ed. it. a cura di G. Busi, Einaudi, Torino 2004, 278 pp. (or. Von Berlin nach Jerusalem. Jugenderinnerungen, Jüdischer Verlag, Berlin 1994). 

I ricordi giovanili di Gershom Scholem, raccolti in un volume da poco uscito per Einaudi, coprono gli anni che vanno dalla nascita del grande studioso (1897, nella Friedrichsgracht, «quasi un ritaglio d’Olanda nel cuore della vecchia Berlino», dice Busi nella postfazione) al suo primo periodo a Gerusalemme (1923-1925). Cresciuto in una famiglia di ebrei “assimilati”, di tendenze generalmente anti-sioniste, il giovane Scholem deciderà di occuparsi quasi per caso di qabbalah, dopo essersi formato come matematico. La descrizione dell’ambiente berlinese, ma anche dei vari soggiorni di studio ad Heidelberg, Jena, Berna, Monaco e Francoforte, è di estremo interesse per una ricostruzione del vivacissimo panorama del Deutsche Judentum.

La figura di Martin Buber ne esce un po’ ridimensionata (come la propensione, allora diffusissima, ad imitarne lo stile, malignamente definita da Scholem come Bubertät), Franz Rosenzweig risulta il gigante che fu, Shmuel Y. Agnon appare come un patriarca biblico e Robert Eisler come un personaggio chiave, mentre dell’amico Walter Benjamin si parla quasi di sfuggita (chi ha già letto il libro di Scholem dedicato a Benjamin, tradotto in italiano per Adelphi, non troverà che poche informazioni aggiuntive); impietoso il ritratto di Gustav Meyrink, dipinto come un cialtronesco cultore di cose esoteriche (Scholem salva solo il suo romanzo su John Dee, L’angelo della finestra occidentale).

A p. 167 si allude vagamente al «massimo esperto di quella generazione in storia della magia, un pio ebreo austriaco che una bella mattina divenne cattolico», e che «da allora in poi fu persuaso che gli argomenti ai quali aveva dedicato le sue eccellenti ricerche fossero in realtà opera del diavolo»: di chi si tratta? Nella stessa pagina, si trova anche una delle migliori perle del libro: «Ero solito definire i tre gruppi, quello raccolto intorno alla biblioteca Warburg, quello dell’Istituto per la ricerca sociale di Max Horkheimer, e quello dei maghi metafisici di Oskar Goldberg, come le tre “sette ebraiche” più rilevanti prodotte dal giudaismo tedesco. Non tutti accoglievano queste mie parole con simpatia».

Questa nuova edizione italiana (2004: la precedente apparve nel 1988) si basa sulla versione ebraica del testo (Mi-Berlin li-Yrushalayim, Tel Aviv 1982), e riproduce tra parentesi quadre alcuni passi omessi dall’autore rispetto alla versione tedesca (Frankfurt a.M. 1977). È singolare la tendenza di Scholem a sbagliare, o comunque a confondere, i nomi propri degli autori e dei personaggi citati.

Divertente l’aneddoto su Agnon a Tel Aviv, che non appena vedeva Scholem arrivare a casa sua, alla vigilia del sabato, avvertiva gli ospiti dicendo in yiddish che der jecke is gekumen, me’darf reden lashon qoidesh («è arrivato l’ebreo tedesco, ora tocca parlare in ebraico»).