Come nascono le superstizioni colte

Jeffrey B. Russell, Inventing the Flat Earth: Columbus and Modern Historians, Praeger, Westport – London 1991, 160 pp. 

Nel quadro generale di un’archeologia delle certezze moderne, forse non sfigurerebbe un capitolo marginale dedicato all’analisi dei numerosissimi miti della divulgazione giornalistica sul cristianesimo: anche per relativizzare tutte quelle ipotesi storiografiche che, in ossequio alla celeberrima Legge di Lewis (*), vengono spacciate come verità acquisite e indiscutibili, o assurte a luogo comune a tal punto da ingenerare fraintendimenti e distorsioni di ogni genere.

D’altronde, non risulta sempre così facile rintracciare l’origine di certe superstizioni cólte, proprio per la loro diffusione capillare. Un tentativo ben riuscito, in questa direzione, si trova in un libro che mi è capitato fra le mani di recente: Inventing the Flat Earth: Columbus and Modern Historians, di Jeffrey B. Russell.

L’autore cerca di ricostruire la storia del pregiudizio per cui la gente, prima del viaggio di Cristoforo Colombo, avrebbe vissuto nella convinzione che la Terra fosse piatta. Le origini di questo colossale pregiudizio storico, tuttora diffussissimo, vengono individuate in un fortunato ritratto biografico di Colombo, scritto dall’americano Washington Irving (l’autore di Rip Van Winckle), nel 1828. Il romanzo di Irving godette di enorme successo per tutto l’Ottocento, soprattutto in concomitanza con l’espansione delle prime teorie evoluzioniste (testa di ponte, all’epoca, del colonialismo e dell’imperialismo WASP).

Qualunque storico serio, già allora, avrebbe tuttavia potuto obiettare, senza particolari difficoltà, che la sfericità della Terra venne data per scontata sin dall’epoca antica, e per tutto il Medioevo:

«From the fourth century before Christ almost all the Greek pilosophers maintained the sphericity of the earth; the Romans adopted the Greek spherical views; and the Christians fathers and early medieval writers, with few exceptions, agreed. During the Middle Ages, Christian theology showed little if any tendency to dispute sphericity» (op. cit., p. 69).

I cristiani, in questo come in altri casi, si limitarono a proseguire e far proprie le discussioni scientifiche del mondo greco e latino. In epoca tardo-antica, peraltro, si possono segnalare soltanto cinque autori che abbiano messo in discussione la sfericità della Terra: Lattanzio († 345), Teodoro di Mopsuestia († 430), Diodoro di Tarso († 394), Severiano di Gabala († 380 ca.) e Cosma Indicopleuste († 540 ca.). Dei primi tre, precisa Russell, non si ha nemmeno una certezza assoluta (la negazione di Lattanzio, ad es., si ricava da un passo in cui contesta l’esistenza degli “antipodi”); inoltre, dettaglio di non poco conto, soltanto gli ultimi due si appoggiarono a un’interpretazione letteralista di passi scritturistici.

(*) La Legge di C.S. Lewis: «Che sciocco sei! Sono i lettori colti quelli che si possono imbrogliare. La vera difficoltà sono gli altri. Quando mai hai conosciuto un operaio che crede a ciò che dicono i giornali? Parte dal presupposto che fan solo propaganda e quindi salta a piè pari agli articoli di fondo. Compra i giornali per i risultati delle partite di calcio e per i trafiletti sulle ragazze che cadono dalla finestra o sui cadaveri che vengono rinvenuti in qualche appartamento… È lui il nostro problema: dobbiamo cambiargli la testa. Ma le persone istruite, quando leggono le riviste intellettuali, non hanno bisogno che gli si cambi la testa. Credono già a tutto» (tratta dal romanzo Quell’orribile forza, 1949, trad. it. di G. Cantoni De Rossi, Adelphi, Milano 1999, pp. 131-132).