Spie

Le spie come immagine perfetta del nostro tempo. Non quelle di cui parla quel celebre, magnifico saggio di Carlo Ginzburg sui modelli congetturali della storiografia moderna, intitolato appunto Spie. Radici di un paradigma indiziario (1979, ora in Miti, emblemi e spie, Einaudi, Torino 1986, pp. 158-209). Ma quelle di cui parla Roberto Calasso nel suo romanzo programmatico La rovina di Kasch. Le spie di Calasso sono “spie” dell’innominabile presente:

«Di ciò che è avvenuto fra il 1945 e oggi due storie si possono scrivere: quella degli storici, con tutto il suo macchinoso apparato di parametri, fra cifre, masse, partiti, movimenti, negoziati, produzioni; e quella dei servizi segreti, punteggiata di assassinii, trappole, tradimenti, attentati, mistificazioni, partite di armi. Sappiamo che l’una e l’altra sono insufficienti, che luna e l’altra pretendono di essere autosufficienti, che non potrebbero mai neppure tradursi l’una nell’altra, che continueranno la loro vita parallela. Ma non è forse stato sempre così – almeno da quando il Vecchio della Montagna scagliava i suoi uomini per il mondo? Sì, è stato a lungo così, ma il segreto era allora appunto il segreto… Il segreto non era stato ancora assorbito nei servizi segreti. Perché questo accadesse occorreva attendere gli anni della pura post-storia, come qui si chiama – con nome indigente, che vuole solo segnalare la nostra inadeguatezza dinanzi all’innominabile attuale – l’età che segue il 1945» (cito da La rovina di Kasch, Bompiani, Milano 1989, p. 323).

Calasso considera quella in cui viviamo come un’età compiutamente “gnostica”, ove ad essere annientata, paradossalmente, è proprio la possibilità di conservare intatto il “segreto”:

«“Potere occulto”, “organizzazione segreta”, “trame”, “muovere le fila”, “complotto”, “doppio gioco”: parole, gesti mentali che furono della gnosi, che ancora erano illuminati dalla luce obliqua dei Templari e che oggi designano sequenze di assassinii, imbrogli planetari, ricatti, sopraffazioni. Il crimine assume il calco che fu dell’eresia perenne: della gnosi» (p. 324).

Il «mondo dinanzi a noi», scrive ancora Calasso, è un mondo di «esoterismo manifesto» (pp. 174 e 320), di «esoterismo coatto» (p. 184). Capitalismo e comunismo, come altre opposizioni polari che «i più ritengono dotate di realtà», non sono altro che «forme gemelle e rivali di una sola e identica fede» (p. 287); letteratura e scienza servono al mantenimento di una «immensa officina sacrificale» (p. 182); e così via. Il travestimento supremo della gnosi consisterebbe dunque nel fatto che tutti sono iniziati, ma senza saperlo, e che «molti pensano esotericamente senza averne coscienza». Ma se tutti sono iniziati, non c’è più iniziazione, non c’è più segreto (non c’è mai stato segreto: e questo anzi era il segreto). Resta la mistificazione, la menzogna, la rovina del reale: un gioco di specchi inesauribile, e l’unica possibilità di afferrarlo attraverso la letteratura.