Nerone redivivo

Su Nerone, come tutti sanno, grava da secoli una pesante leggenda nera. Eppure, a intervalli regolari, c’è chi prova a riabilitarne la memoria, magari persuaso che siano stati i cristiani a “inquinare le fonti” (ipotesi improbabile, ma che potrebbe avvalersi delle innumerevoli rappresentazioni dell’Anticristo, antiche e medievali, come Nero redivivus, peraltro bollate da un padre della Chiesa come Lattanzio alla stregua di semplici fantasie). L’ultimo tentativo, di cui apprendo grazie a una “breve” letta per caso, è di sabato scorso:

«I capi dell’accusa, impersonata da Jean Sorel, erano pesanti: omicidio della madre Agrippina, della moglie Ottavia, del fratello adottivo Britannico, del precettore Seneca; corruzione dei costumi; incendio doloso di Roma; persecuzione dei cristiani. Eppure la giuria popolare, dodici persone scelte tra il pubblico, ha accolto le istanze della difesa, sostenuta da Ugo Pagliai, assolvendo Lucio Domizio Enobarbo, detto Nerone, una delle figure più controverse della storia di Roma, nel processo celebrato nella basilica di Massenzio per la rassegna “Imperatori alla sbarra”, su idea e testi di Corrado Augias e Vladimiro Polchi».

Stante la sacrosanta libertà di revisione nell’indagine storica, c’è comunque da chiedersi come e perché riabilitare Nerone, oggi. E ancor di più in un contesto “giornalistico” e tutto sommato popolare. Io, che son di natura sospettoso (è l’ermeneutica del sospetto: l’ho imparata dai cattivi maestri, Marx Nietzsche Freud), un’ipotesi maliziosa ce l’avrei.

Facendo un po’ di genealogia delle idee, e spulciando indietro nel passato, il primo laudatore moderno di Nerone lo troviamo nel Rinascimento magico: è Gerolamo Cardano. L’umanista patavino, filosofo medico e matematico (un po’ come Odifreddi, ma più colto), scrisse nel 1562 un Encomium Neronis, nel quale passava al vaglio tutte le fonti antiche, da Tacito a Svetonio a Seneca, col nobile intento di rovesciarne i malevoli verdetti. Impresa che gli riuscì facilissima, dato che il Cardano non si sognò per nulla di negare i vari fatti di sangue, le crudeltà e i ludibri, dei quali si sarebbe macchiato l’Imperatore, ma li considerò direttamente come “cose buone” o quantomeno giustificabili.

Forse che il giovinetto Nerone s’impegnò a far morire la madre Agrippina (non certo santa donna, va pur detto), la zia Domizia, il fratellastro Britannico, la sorellastra Antonia, le mogli Ottavia e Poppea, il primo marito di quest’ultima Rufo Crispino, il loro figlioletto, il maestro Seneca, gli scrittori Lucano e Petronio, e tanti altri intellettuali, come pure altri fra parenti, amici e collaboratori? Ebbene, in fondo si trattò di “legittima difesa”, dovuta a superiorità morale… Per quanto riguarda invece le cene magiche offerte dall’armeno Tiridate, o l’apprendimento dell’arte occulta dei venefici, Cardano rimane addirittura ammirato. «Nerone bramò di comandare agli stessi dèi», c’informa Plinio il Vecchio. Benissimo, commenta l’umanista, evidentemente era un teurgo, un “sapiente”. E poi si sa, di fronte al genio si chiude tutti un occhio. E fra colleghi ci si aiuta.