Andrej Tarkovskij, Martirologio. I diari, trad. it. di N. Mozzato, Edizioni della Meridiana, Firenze 2002.
Credo che il modo migliore per accostarsi ai diari di Andrej Tarkovskij, resi oggi disponibili al lettore italiano grazie a questa splendida traduzione approntata dalle Edizioni della Meridiana, sia quello di riguardare il film che più di tutti rappresenta il manifesto poetico del grande regista russo: Stalker (1979), liberamente tratto dal romanzo di fantascienza Picnic sul ciglio della strada (1971) dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij.
Il film, com’è noto, racconta di una “Zona” all’interno della quale tutte le normali leggi dell’esistenza sembrano sovvertite, per una causa che rimane sconosciuta. Al centro di questa Zona, che le autorità hanno deciso di proteggere militarmente, pare esservi una stanza, che consente a chiunque la raggiunga la realizzazione dei propri desideri più profondi. Protagonista della storia è uno Stalker, una delle tante guide che da anni, clandestinamente, si assumono il compito di condurre quanti vogliono accedere alla misteriosa stanza. Questa volta lo Stalker ha accettato di accompagnare uno scienziato (chiamato semplicemente il “Professore”) e uno scrittore disilluso (lo “Scrittore”). Lo Scrittore manifesta l’intenzione di raggiungere la stanza per recuperare l’ispirazione perduta, e per stornare la noia di un’esistenza ormai incapace di offrirgli alcun significato. Il Professore obbedisce invece alla propria volontà di capire, di “registrare” il comportamento della Zona.
Il cammino, stando alle indicazioni dello Stalker, obbedisce a regole ferree: la via diretta non è mai la più breve, e non si può passare per due volte su uno stesso percorso. La Zona, che ha tutta l’apparenza di una semplice campagna disabitata, è un organismo in continuo mutamento: ciò che appare sicuro in un punto può diventare impervio e pericoloso in un altro.
Dopo un percorso estenuante, i tre si ritrovano a litigare sulla soglia della meta. Lo Scrittore e il Professore maturano la coscienza della propria imperfezione, e non trovano il coraggio di entrare nella Stanza dei desideri. Il Professore cerca d’innescare una bomba, perché nessuno possa più nutrire facili illusioni su di essa o se ne serva per scopi criminali ed egoistici. Lo Scrittore, dal canto suo, accusa lo Stalker di dispotismo, e si rinchiude nella convinzione che anche le più nobili aspirazioni dell’uomo contengano un fondo di miseria e vanità.
Tra le scene del film, ve n’è una aiuta più di altre a dischiuderne il senso profondo (il frammento è interamente visionabile su You Tube). Vi troviamo rappresentata una visione avuta dallo Stalker durante il percorso di avvicinamento alla Stanza: un suggestivo piano-sequenza parte dal capo del protagonista, adagiato sul bordo dell’acqua, per tornare alla sua mano, attraverso un percorso lungo il quale vengono ripresi una siringa, dei pesci, un’icona di san Giovanni, un’arma da fuoco… Al principio della visione, una voce fuori campo recita il brano dell’Apocalisse di Giovanni che riferisce dell’apertura del sesto sigillo:
«E ci fu un gran terremoto; il sole diventò scuro come un panno da lutto, e la luna diventò color sangue; le stelle dal cielo caddero sulla terra come i fichi cadono dall’albero, quando è scosso da un vento impetuoso; la volta celeste si squarciò e si arrotolò come un foglio di pergamena; tutte le montagne e le isole furono strappate dal loro posto. Allora i re di tutta la terra, i governanti, i comandanti di eserciti, le persone più ricche e potenti, andarono a rifugiarsi nelle caverne e tra le rocce dei monti, insieme a tutti gli altri, schiavi e liberi, e dicevano alle montagne e alle rocce: Cadeteci addosso! E nascondeteci, ché non ci veda Dio, che siede sul Trono, e non ci colpisca il castigo dell’agnello, perché questo è il grande giorno della resa dei conti, e chi mai potrà sopravvivere?» (Ap 6,12-17).
C’è un particolare, all’interno della scena, che mi è sempre parso significativo: l’apparizione di un cane nero, che poi troviamo accucciato accanto allo Stalker. Il cane potrebbe indicare simbolicamente il passaggio da un mondo all’altro (viene in mente il cane nero che accompagna il Faust di Goethe). In seguito, l’animale viene inquadrato nell’atto di custodire dei resti umani, dai quali spunta una piccola pianta, mentre una porta si apre e si chiude lasciando filtrare la luce (un’immagine della resurrezione?). Il prototipo iconografico più immediato è quello che collega il cane a Ermes, nel pantheon greco, o al cinocefalo Anubi, nella mitologia egiziana: entrambe divinità psicopompe, guidatrici delle anime nell’aldilà o foriere di messaggi celesti. Ermes, in particolare, è figura di mediazione, divinità dei crocicchi, di luoghi e situazioni di passaggio: è lui che segna i cammini delle strade e traccia i percorsi marcandoli con cumuli di pietre (le erme). Gli antichi greci, con l’espressione hermaion, indicavano del resto la buona sorte, un tiro fortunato ai dadi, ed è forse per questo che lo Stalker, prima di spostarsi da un punto all’altro della Zona, lancia dei dadi legati ad un nastro. Come per Ermes, anche per lo Stalker sono lo spazio dell’imprevedibile, la mobilità continua e l’esplorazione solitaria a qualificare le modalità della comunicazione col divino.
Ma c’è un altro legame simbolico che andrebbe sottolineato, quello con un personaggio cui la tradizione cristiana ha finito per attribuire molti degli attributi e delle prerogative di Ermes: vale a dire san Cristoforo, spesso rappresentato nelle icone come cinocefalo. È celebre la leggenda che lo vuole traghettatore dei viandanti presso un guado: tra quelli che avrebbe aiutato ad attraversare il fiume, vi sarebbe stato lo stesso Gesù, apparsogli sotto le vesti d’un fanciullo (donde il nome appunto di “Cristo-foro”). Così, verso la fine del film, vedremo lo Stalker proprio sulle rive di un fiume, intento a portare sulle spalle la figlia, il cui capo è avvolto da un panno dorato. La fanciulla è indicata come una “figlia della Zona”: è un essere divino-umano, capace di miracoli, l’unico ad essere chiamato per nome nel corso della storia.
Il film, secondo le parole che lo stesso regista ci consegna oggi nei suoi diari, tratta della «presenza di Dio nell’uomo, e [della] rinuncia alla spiritualità per l’acquisizione di una falsa conoscenza» (A. Tarkovskij, Martirologio, p. 232 [nota del 23 dicembre 1978]). Tarkovskij denuncia l’impotenza spirituale dell’uomo moderno, incapace di “credere”, di oltrepassare se stesso e la propria limitatezza per accedere a un Senso. Il desiderio di Assoluto si incontra con l’eccedenza della gratuità divina, espressa dalla Zona. Ma la realizzazione del desiderio o la rinuncia ad esso, spiega il regista, non possono che nascere dalla libertà che le due parti hanno d’incontrarsi o meno. Ecco perché il compito dell’artista, per Tarkovskij, è paragonabile a quello dello Stalker:
«L’arte […] è, per così dire, l’istinto dell’umanità di non affogare in senso spirituale. Nell’artista si manifesta l’istinto spirituale dell’umanità, e nella sua opera l’aspirazione dell’uomo verso l’eterno, il trascendente, il divino, sovente a dispetto della natura peccaminosa del poeta stesso. Che cos’è l’arte? Essa è innanzitutto una dichiarazione d’amore, un riconoscimento della propria dipendenza dagli altri uomini, una confessione, un atto inconsapevole, ma che rispecchia l’autentico significato della vita: l’amore e il sacrificio» (A. Tarkovskij, Scolpire il tempo, trad. it. di V. Nadai, Ubulibri, Milano 1988, pp. 198-199).