Il Vangelo di Giuda in formato Da Vinci

Rodolphe Kasser, Marvin Meyer, Gregor Wurst (eds.), The Gospel of Judas, The National Geographic Society, Washington DC 2006, 186 pp. 

È prevista per oggi la pubblicazione di un’edizione critica del Vangelo di Giuda, con triplice versione (inglese, francese e tedesco), sotto la cura editoriale di Rodolphe Kasser, Professore emerito di lingua e letteratura copta all’Università di Ginevra.

L’esistenza di questo testo apocrifo, che fino a qualche anno fa si pensava perduto, era già nota agli studiosi grazie a un’annotazione di Ireneo di Lione (II sec.). Nel suo celebre trattato Confutazione e smascheramento della falsa gnosi, più conosciuto come Contro le eresie (Adversus haereses), Ireneo ne attribuiva la redazione alla fantomatica setta dei Cainiti, i quali «asseriscono che Caino derivi dall’Essere superiore e si professano parenti di Esaù, di Core, dei Sodomiti e di quant’altro; di costoro, combattuti dal Demiurgo, nessuno avrebbe avuto danno, poiché Sofia attraeva a sé ciò che era suo. Questo lo avrebbe ben saputo Giuda il traditore, e solo fra tutti comprendendo avrebbe compiuto il mistero del tradimento. Per mezzo suo furono rovinate tutte le cose terrene e celesti. Presentano anche un’opera apocrifa che chiamano Vangelo di Giuda» (Adv. haer. I,31,1).

In questo breve schizzo del grande padre della Chiesa, si riconoscono peraltro alcuni tratti ricorrenti nella rappresentazione eresiologica dei cosiddetti movimenti gnostici dell’epoca: la distinzione fra un Essere divino superiore e insondabile e un demiurgo creatore della materia, l’acceso dualismo che ne deriva, il rovesciamento ermeneutico delle Scritture, l’esaltazione di figure marginali o negative della storia sacra, il richiamo a una conoscenza segreta trasmessa in forma esclusiva a o da un personaggio di età apostolica (in questo caso, nientemeno che Giuda Iscariota).

Il testo che viene oggi presentato in forma integrale dal prof. Kasser è desunto da un papiro redatto in copto sahidico, composto da poco più di sessanta fogli: il manoscritto, a quanto pare databile al III-IV secolo, circolava nel mercato antiquario dagli anni ’50 e ’60, ma non era mai stato oggetto di interessamento, fino all’acquisto (nel 1983) da parte della Maecenas Foundation of Ancient Arts di Basilea e dell’autorevole National Geographic Society. Finora se ne conoscevano soltanto pochi estratti, alcuni dei quali diffusi in via ufficiosa dal coptologo statunitense Charles W. Hedrick (noto studioso della biblioteca gnostica di Nag Hammadi).

Come scrive Stephen Carlson nel suo blog di studi biblici, c’è il sospetto che il ritardo nella pubblicazione non obbedisca a criteri puramente scientifici, ma a una precisa strategia di “marketing”, non inconsueta in questo tipo di scoperte. Della pubblicazione, in Italia, hanno dato notizia i quotidiani Avvenire, con un sobrio trafiletto, e La Stampa, con un pezzo in parte ricalcato su un articolo apparso a propria volta nel Daily Telegraph (30/5/2005).

L’esordio del giornale torinese è prevedibilmente sensazionalistico: «Un codice del IV secolo, dal contenuto “esplosivo”, rischia di provocare una piccola rivoluzione nell’esegesi del cristianesimo primitivo e di apportare modifiche di non poco conto alla manifestazione storica della religione più praticata al mondo». Non per nulla, quindi, il titolo dell’articolo suona come «Il Codice di Giuda. Nel vangelo ritrovato la rivincita dell’apostolo». E in effetti il tono è in perfetto stile Codice da Vinci, ad esempio quando si proclama che «non vi sono dubbi: l’opera contenuta [nel papiro] è il Vangelo di Giuda, un apocrifo del I secolo, di cui fino a oggi si aveva notizia solo da Sant’Ireneo, vescovo di Lione nel II secolo e principale autore del canone neotestamentario». Il nostro testo cainita (databile tutt’al più attorno al 150) slitta inspiegabilmente al I secolo, e il vescovo Ireneo viene addirittura annoverato fra gli estensori del Nuovo Testamento, o fra coloro che d’un botto s’inventarono il canone…

Ma le imprecisioni non si esauriscono qui, dato che «gli gnostici – c’informa La Stampa – furono messi al bando dalla Chiesa ufficiale dopo Costantino». L’affermazione compare anche nel Daily Telegraph, ma in una forma più esplicita: «The Roman Catholic Church limited the recognised gospels to the four in 325 AD, under the guidance of the first Christian Roman emperor, Constantine». Qui la chiesa ufficiale è la chiesa cattolica romana (con evidente anacronismo), ma l’idea di Costantino resta. In proposito, non si può che riferire il tagliente e puntuale commento di Carlson:

«The canonization of the New Testament was a long process that began well before Constantine and ended decisively decades after him. As early as Irenaeus in the 180s, the direct precursors of the 4th cen. orthodox Christianity (whom Bart Ehrman calls the “proto-Orthodox”) had already limited the gospels they recognized to the four we know today: Matthew, Mark, Luke, and John. Constantine’s political doctrines had nothing to do with the selection of the four or the exclusion of the others (many of which did not circulate widely and were not even known to the proto-Orthodox)».

Quanto all’elogio preventivo dei Cainiti, che dire? Forse di “Cainiti” ne girano ancora, e non sarebbe una novità. Ne ha avuti tanti il Novecento, che ha invocato a più riprese la figura di Giuda per costruirvi sopra delle vere e proprie mitologie della rivolta. Un esempio lampante lo abbiamo in Ateismo nel cristianesimo del marxista “magico” Ernst Bloch (recentemente ripubblicato nei tascabili Feltrinelli), o nel meno noto volume di Mario Brelich, L’opera del tradimento (Adelphi), una sulfurea meditazione sul «sommo delitto» che riscatterebbe l’apostolo traditore: non in nome della divina misericordia, come spesso altri hanno supposto, quanto perché «l’apparizione di Satana corrisponde al periodo in cui l’uomo si rende conto di dover perire se non cambia radicalmente la propria condizione, cioè l’ordine divino vigente; e che Satana stesso altro non è che l’atto inevitabile, seppur ribelle, con cui l’uomo sceglie fra nuove possibilità esistenziali fino allora escluse dal suo ordine, ma che gli si impongono implacabilmente nell’interesse della sopravvivenza».